E’ luglio inoltrato ma qui in Irlanda tira vento e piove come se fosse già autunno. Noi non ci diamo per vinti e noleggiamo comunque una macchina e partiamo all’avventura. Guardiamo la mappa di quest’isola verdeggiante in cui ci troviamo e optiamo per la Wild Atlantic Way, percorso che costeggia tutta la costa occidentale, tra le varie tappe scegliamo il parco nazionale di Connemara. Verso tardo pomeriggio arriviamo in ostello. Ad accoglierci c’è una donna che suona la chitarra e canticchia seduta sotto una tettoia alquanto precaria ma che almeno la ripara dalla pioggia incessante. Poco dopo compare il proprietario che ci invita a seguirlo; ci fa vedere la camera da letto, una piccola casetta in compensato a fianco a una cascata!! Poi ci porta dentro la house, il nome dell’ostello è in realtà The Old Monastery, il vecchio monastero costruito nel 1871.

Immaginatevi soffitti altissimi, finestre ampie quasi come un’intera parete, ogni stanza arredata con una miriadi di oggetti di vario genere e fuori prato e alberi i cui rami quasi danzavano al soffio costante e regolare del vento. Una volta sistemati mi guardo attorno e sembra ci siano in totale una decina di ospiti, il che, considerato che le attività hanno riaperto settimana scorsa è un numero da record. Chiedo a John come sia possibile e lui mi risponde che in realtà il suo ostello non ha mai chiuso. Ben 7 persone lo scorso marzo hanno deciso di rimanere, in realtà all’inizio il governo irlandese aveva annunciato solo 15 giorni di quarantena, peccato che poi il ritorno alla “normalità” è stato posticipato di settimana in settimana e alla fine 15 giorni sono diventati quasi 4 mesi! La sera coccolata dal tepore della stufa a legna, conosco in soggiorno alcuni degli inquilini: Charlie australiana, David irlandese, Caroline francese, Amy inglese. Chiacchieriamo un paio d’ore sorseggiando del vino rosso e sembrerebbe che dopo tutto siano grati di essere rimasti intrappolati in questo posto sperduto nella natura a due passi dal parco nazionale, tanto che al momento nessuno di loro ha intenzione di preparare lo zaino e migrare altrove.

Tra di loro, Charlie è la persona che più stuzzica la mia curiosità. Ha intorno ai 50 anni e è piena di vita; quel sabato sera entra in salotto con impeto e chiede a tutti di raggiungerla al pub del paese, una manciata di secondi dopo si era già lasciata la porta alle sue spalle e era scomparsa nella notte. Alle 4 di mattina quando quatta quatta apro la porta del soggiorno per vedere chi fosse rimasto, vedo Charlie beatamente sdraiata su una poltrona con le gambe appoggiate sul puff. Il suo viso era disteso e rilassato, felice, sognava di essere in terre lontane, al suo fianco la stufa; complice del suo benessere psico fisico. L’indomani incontro Charlie in cucina, le chiedo quale fosse il suo programma della giornata e mi dice che pensa di andare alla posta in bici per incontrare un’amica che abita lì vicino. Mentre chiacchieriamo la osservo mentre prepara la sua colazione. Attorno a lei ha barattoli e confezioni etichettate “Charlie”, eh si perché in ostello è l’unico modo per riconoscere il proprio cibo dato che mensole e frigo sono in comune con gli altri ospiti. Poco dopo la vedo tirare fuori dal freezer delle bottiglie di acqua ghiacciata e le chiedo cos’ha intenzione di farsene se tanto fuori fa già freddo! Lei indica la borsa frigo fuori dal suo bungalow e mi dice che le usa al posto del ghiaccio sintetico per tenere il cibo al fresco e averlo a portata di mano. Sorrido e le dico che voglio una foto con lei! E così eccoci insieme! Ci salutiamo poi con un abbraccio di quelli stritolosi! E’ stato talmente sincero e sentito che è stato come abbracciare l’intera Australia! Ciao Charlie, buona vita!
